martedì 10 giugno 2025

Quest’oggi, 4 giugno 2025, Pastore Massimo Aprile, Pastora Anna Maffei




Come cristiani evangelici che vivono in occidente, nella parte, tutto sommato, ancora garantita del mondo, desideriamo confessare il nostro peccato e chiedere perdono a Dio, per le nostre mancanze

circa la sofferenza inenarrabile del popolo palestinese.

Chiediamo perdono per i nostri deficit, culturali, morali e spirituali che, se non hanno determinato,hanno contribuito ad aggravare la situazione devastante in cui versa il popolo e lo stato palestinese.


Il primo è un peccato di distrazione.


Già da molto prima del 7 ottobre, in cui si è scatenata la furia disumana di Hamas, la politica iniqua di occupazione delle terre palestinesi da parte dei coloni israeliani, col sostegno delle autorità militari e politiche israeliane, ha reso la vita degli abitanti della Cisgiordania, insostenibile. Quasi impossibile spostarsi a causa delle decine di check point, pericoloso andare al lavoro per il rischio di ritrovare la propria abitazione occupata dai coloni, difficile vivere sotto il ricatto ideologico di Israele. Distrazione anche rispetto alle tante disattese risoluzioni dell’ONU da parte di Israele.

Mentre confessiamo questo peccato di distrazione, siamo consapevoli, che proprio mentre pronunciamo queste parole, risulteremo “distratti” rispetto ad altri conflitti non meno cruenti che si stanno consumando nel mondo in questo momento.


Poi abbiamo commesso un peccato di pregiudizio positivo verso Israele.

Abbiamo creduto troppo a lungo, che una democrazia liberale, come essi si accreditano in occidente, non potesse varcare la soglia della brutalità. Abbiamo commesso il peccato di credere che la morte di tanti civili palestinesi fosse danno collaterale della lotta contro Hamas, per poi renderci conto che i bambini, gli anziani e le donne, sono ormai divenuti il target di una strategia stragista di Israele.


Abbiamo commesso un peccato di leggerezza,


pensando che si potesse essere equidistanti, per cercare di offrire margini di mediazione. Ma. l’escalation del conflitto avrebbe richiesto una parola di chiarezza e di parzialità, perché il Dio in cui crediamo, lo stesso Dio degli ebrei, ha scelto di essere dalla parte dei deboli, dei poveri, delle vittime, dei senza potere. E i palestinesi, e in particolare le donne e i bambini palestinesi, rappresentano tutto questo. Abbiamo mancato del coraggio di ripetere al despota di turno le parole chiare e ferme di Giovanni Battista “Non ti è lecito”.

Abbiamo commesso il peccato di credere che le dichiarazioni delle chiese cristiane dovessero essere espressione di diplomazia ecclesiastica più che di parresia evangelica. Abbiamo peccato perché abbiamo mancato di stigmatizzare tempestivamente la politica di Israele e del suo capo politico, Benjamin Netanyahu. Non abbiamo richiesto a chi ci governa di revocare ogni accordo di cooperazione con lo Stato d’Israele particolarmente nei settori della difesa e dell’intelligence e di avviare sanzioni e campagne di boicottaggi, da sempre efficaci strategie di lotta nonviolenta.

Il nostro amore per i fratelli e le sorelle ebree, ovunque nel mondo, la nostra coscienza del grave peccato di antisemitismo della chiesa nei secoli, ci hanno impedito di riconoscere la differenza tra la fede ebraica e un governo politico sostenuto dai peggiori fanatismi anche religiosi.

Nel confessare questo nostro peccato ed esprimere così la nostra vicinanza e parzialità ad un popolo a cui viene nei fatti negato il diritto di esistere, riaffermiamo la solidarietà con tutte le vittime dell’orrendo conflitto in corso, comprese quelle del 7 ottobre e dell’odioso omicidio di due giovani dipendenti dell'ambasciata israeliana uccisi a Washington da un estremista filopalestinese.

Un versetto del Vangelo di Matteo 2,18 si offre a noi per riflettere e agire:


«Un grido si è udito in Rama,

un pianto e un lamento grande:

Rachele piange i suoi figli

e rifiuta di essere consolata,

perché non sono più».

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