Kondakion, ton 4
Plus que la Prostituée, Dieu bon, j'ai péché - Je ne T'ai pas porté des pluies de larmes - Mais dans le silence, priant, je me prosterne devant Toi - et dans mon désir j'embrasse Tes pieds très purs - Maître, Sauveur, accorde le pardon des fautes à celui qui appelle - De la boue de mes oeuvres, délivre-moi
Kondakion. Tono 4
Più
della prostituta ho peccato, o Buono, non ti ho offerto fiumi di
lacrime, ma pregando in silenzio cado davanti a Te. Con amore abbraccio i
tuoi purissimi piedi. Come Maestro dammi la remissione dei
debiti. Quando grido a Te : liberami dalla sporcizia delle mie azioni!
Poema della monaca Cassiana
(IX sec.)
Cantato alla fine dell’Orthros (Mattutino) nel Mercoledì
della Grande e Santa Settimana
La donna caduta in molti peccati,
sente la tua divinità, o Signore,
e, assumendo l’ufficio di mirófora[2],
ti offre il myron con le lacrime
prima della tua sepoltura.
Ahimé, dice, per me è notte senza luce di luna,
furore tenebroso d’incontinenza,
amore di peccato!
Accetta i torrenti delle mie lacrime,
tu che attiri nelle nubi l’acqua del mare.
Piegati ai gemiti del mio cuore,
tu che hai piegato i cieli nel tuo ineffabile annientamento.
Bacerò i tuoi piedi immacolati,
li asciugherò con i riccioli del mio capo,
quei piedi, di cui Eva a sera percepì il suono
dei passi nel Paradiso
e per timore si nascose.
Chi investigherà la moltitudine dei miei peccati
E l’abisso dei tuoi giudizi,
o mio Salvatore, che salvi le anime?
Non disprezzare la tua serva,
tu che possiedi incommensurabile la misericordia!
Il tropario dell'innografa Cassianì è uno dei testi per il mercoledì santo che viene cantato al mattutino e al vespro. Di bellezza e profondità uniche nel suo genere, è stato scritto da una monaca che visse a Costantinopoli nella prima metà del IX secolo. Canta l'unzione che la donna peccatrice riservò a Gesù prima della sua passione. La figura delle donne mirofore - portatrici di unguento (myron) - è nei vangeli, sia prima della passione di Cristo sia dopo la sua risurrezione. Il tropario non precisa l'identità della donna: una peccatrice, come viene presentata da Matteo e da Marco; oppure Maria sorella di Lazzaro, come viene presentata da Giovanni. Il testo è un canto alla misericordia, al perdono e all'amore eterno di Dio per l'uomo, pur peccatore.
La donna peccatrice percepisce la divinità di Cristo, il suo potere di guarire, la sua forza per perdonare e salvare. Il processo della sua conversione è presentato con l'immagine dell'assumere il ruolo di mirofora, che offrendo a Cristo l'unguento in previsione della sua sepoltura, come nel vangelo di Giovanni. E dopo la risurrezione sarà Cristo stesso a dare all'umanità redenta se stesso come unguento di salvezza.
"Ahimé, sono prigioniera di una notte senza luce di luna, furore tenebroso di incontinenza, amore di peccato! Accetta i torrenti delle mie lacrime, tu che attiri nelle nubi l'acqua del mare. Piègati ai gemiti del mio cuore, tu che hai piegato i cieli nel tuo ineffabile annientamento". La seconda parte del poema è la preghiera accorata della donna a Cristo. Il primo versetto non si riferisce soltanto all'oscurità dell'anima peccatrice, ma anche alla Pasqua celebrata nel giorno di luna piena. Essendo tutto il tropario indirizzato a Cristo, l'autrice usa immagini cristologicamente contrastanti per sottolineare sia la vera divinità di Cristo che la sua vera umanità, immagini che tra loro si completano. Sono da notare anche i due imperativi messi da Cassianì in bocca della donna: "accetta" e "piègati", forme verbali che danno l'idea della grande fiducia e libertà dell'uomo nei confronti di Dio.
"Bacerò i tuoi piedi immacolati, li asciugherò con i riccioli del mio capo, quei piedi di cui Eva a sera percepì il suono dei passi nel paradiso e per timore si nascose. Chi mai potrà scrutare la moltitudine dei miei peccati e l'abisso dei tuoi giudizi, o mio Salvatore, che salvi le anime?". La terza parte presenta l'atteggiamento della donna: il suo amore verso Cristo, che nel poema è chiaramente anche il Creatore che cammina nel paradiso e di cui Eva sente i passi. Il tema del Logos creatore è frequente nei Padri, ma nel testo è singolare la bellezza dell'immagine che accosta i piedi di Cristo baciati dalla donna ai piedi di cui Eva sente il suono nel paradiso. I peccati della donna sono moltitudine; ma i giudizi e le decisioni di Cristo nei suoi confronti sono un abisso di misericordia, evocata nella preghiera conclusiva: "Non disprezzare la tua serva, tu che possiedi incommensurabile la misericordia!".
(senza problema alcuno autore della riflessione il fratello greco cattolico MANUEL NIN)
alla Liturgia dei Presantificati
secondo Matteo (26, 6-16)
Mentre Gesù si trovava a Betania, in casa di Simone il lebbroso, gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di unguento molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre lui stava a mensa. I discepoli vedendo ciò si sdegnarono e dissero: "Perché questo spreco? Quest'unguento lo si poteva vendere caro, e dare ai poveri!" Ma Gesù, accortesene, disse loro: "Perché date fastidio alla donna? Essa ha fatto una cosa bella per me. I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete. Versando quest'unguento sul mio corpo, lo ha fatto
per la mia sepoltura. In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in memoriale per lei". Allora uno dei dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: "Che mi volete dare perché io ve lo consegni?" E quelli allora stabilirono per lui trenta pezzi d'argento. Da quel momento cercava il momento favorevole per consegnarlo.
al mattino
secondo Giovanni (12, 17-50)
In quel tempo la gran folla che era venuta alla festa, avendo udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese rami di palme e uscì per incontrarlo e gridavano: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele!" Allora Gesù, avendo trovato un asinello, vi salì sopra, come sta scritto: Non temere, figlia di Sion; ecco il tuo re viene, seduto su un puledro d'asina. Dapprima i suoi discepoli non capirono queste cose, ma quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che queste cose erano scritte su di lui e che così gli avevano fatto. Dunque la folla che era stata con Gesù quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli rendeva testimonianza. Anche per questo la folla gli andò incontro, perché aveva udito che aveva compiuto il segno. Allora i farisei dissero tra di loro: "Vedete che non concludete nulla? Ecco che il mondo è andato dietro di lui!" Tra quelli che erano saliti per adorare durante la festa, c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Vithsaidhà di Galilea, e gli chiesero: "Signore, vogliamo vedere Gesù". Filippo va a dirlo ad Andrea; Andrea e Filippo vanno a dirlo a Gesù e Gesù risponde loro dicendo: "E' giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. Ora l'anima mia è turbata; e che dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome". Venne allora una voce dal cielo: "L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!" La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: "Un angelo gli ha parlato". Rispose Gesù e disse: "Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me". Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire. Allora la folla gli rispose: "Noi abbiamo sentito dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come dunque tu dici che il Figlio dell'uomo deve essere innalzato? Chi è questo Figlio dell'uomo?" Gesù allora disse loro: "Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi colga la tenebra; chi cammina nella tenebra non sa dove va. Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce". Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose da loro. Sebbene avesse compiuto tanti segni davanti a loro, non credevano in lui; perché si compisse la parola detta dal profeta Isaia: Signore, chi ha creduto alle cose udite da noi? E il braccio del Signore a chi è stato rivelato? E non potevano credere, per il fatto che Isaia disse ancora: Ha reso ciechi i loro occhi e ha indurito il loro cuore, perché non vedano con gli occhi e comprendano con il cuore, e si convertano e io li guarisca! Questo disse Isaia perché vide la sua gloria e parlò di lui. Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma non lo riconoscevano apertamente a causa dei farisei, per non essere espulsi dalla sinagoga; amavano infatti la gloria degli uomini più della gloria di Dio. Gesù allora gridò a gran voce: "Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha inviato. Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo giudico; perché non sono venuto per giudicare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell'ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me".
Mattutino del Grande Mercoledì
Κύριε, η εν πολλαίς αμαρτίαις
περιπεσούσα γυνή,
την σην αισθομένη θεότητα,
μυροφόρου αναλαβούσα τάξιν,
οδυρομένη, μύρα σοι προ
του ενταφιασμού κομίζει.
Οίμοι! λέγουσα, ότι νυξ μοι υπάρχει,
οίστρος ακολασίας,
ζοφώδης τε και ασέληνος,
έρως της αμαρτίας.
Δέξαι μου τας πηγάς των δακρύων,
ο νεφέλαις διεξάγων
της θαλάσσης το ύδωρ
κάμφθητί μοι προς τους στεναγμούς της καρδίας,
ο κλίνας τους ουρανούς, τη αφάτω σου κενώσει.
Καταφιλήσω τους αχράντους σου πόδας,
αποσμήξω τούτους δε πάλιν,
τοις της κεφαλής μου βοστρύχοις˙
ων εν τω παραδείσω Εύα το δειλινόν, κρότον
τοις ωσίν ηχηθείσα,
τω φόβω εκρύβη.
Αμαρτιών μου τα πλήθη,
και κριμάτων σου αβύσσους,
τις εξιχνιάσει, ψυχοσώστα Σωτήρ μου;
Μη με την σην δούλην παρίδης,
ο αμέτρητον έχων το έλεος.
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