mercoledì 15 marzo 2023

Jorge Luis Borges: Fede, poca fede e nessuna fede


In tempi lontani tre uomini partirono in pellegrinaggio; uno era un sacerdote, un altro una persona virtuosa e il terzo un vagabondo con la sua ascia. Lungo il cammino, il sacerdote parlò dei fondamenti della fede. «Vediamo le prove della nostra religione nelle opere della natura» disse, e si batté il petto. «Proprio così» disse la persona virtuosa. «Il pavone ha una voce aspra,» disse il sacerdote «come i nostri libri hanno sempre testimoniato. Quanto è incoraggiante!» esclamò come se piangesse. «Quanto è edificante!». «Non ho bisogno di prove del genere» disse la persona virtuosa. «Dunque la sua fede non è razionale» disse il sacerdote. «Grande è la giustizia e vincerà» gridò la persona virtuosa. «C’è lealtà nel mio cuore; siate certi che c’è lealtà nella mente di Odino».

«Questi sono giochi di parole» replicò il sacerdote. «In confronto al pavone, un sacco di queste inezie sono nulla». In quel momento passavano davanti a una fattoria, e c’era un pavone appollaiato sul recinto; l’uccello cantò e la sua voce era come quella di un usignolo. «E adesso cosa mi dice?» chiese la persona virtuosa. «Eppure non mi tocca. Grande è la verità e vincerà». «Che il demonio si porti quel pavone» disse il sacerdote, e per un paio di miglia camminò a testa bassa. Poi giunsero a un santuario, dove un fachiro faceva miracoli. «Ah,» disse il sacerdote «ecco i veri fondamenti della fede. Il pavone era solo un ammennicolo. Questa è la base della nostra religione». E si batté il petto e gemette come se soffrisse di coliche. «Per me» disse la persona virtuosa «tutto questo è insignificante quanto il pavone. Io credo perché so che la giustizia è grande e vincerà. Questo fachiro potrebbe continuare con i suoi trucchi fino al giorno del Giudizio ma non mi incanterebbe». Udendo queste parole, il fachiro si adirò tanto che gli tremò la mano e, nel bel mezzo di un miracolo, gli caddero le carte dalla manica. «E adesso cosa mi dice?» chiese la persona virtuosa. «Eppure non mi tocca». «Che il diavolo si porti quel fachiro» esclamò il sacerdote. «Non vedo davvero a cosa serva continuare questo pellegrinaggio». «Coraggio!» esclamò la persona virtuosa. «Grande è la giustizia e vincerà». «Se lei è convinto che vincerà…» disse il sacerdote. «Le do la mia parola» disse la persona virtuosa. Allora il sacerdote proseguì con migliore stato d’animo. Infine giunse uno di corsa e disse loro che tutto era perduto; i poteri delle tenebre assediavano le Dimore Celesti e Odino sarebbe morto e il male avrebbe trionfato. «Sono stato volgarmente ingannato» esclamò la persona virtuosa. «Ora tutto è perduto» disse il sacerdote. «Saremo ancora in tempo per patteggiare col diavolo?» disse la persona virtuosa. «Speriamo» disse il sacerdote. «Comunque proviamoci. Ma cosa sta facendo con la sua ascia?» chiese al vagabondo. «Morirò con Odino» rispose il vagabondo.


https://www.ilsecondomestiere.org/jorge-luis-borges-fede-poca-fede-e-nessuna-fede/

tratto da Racconti brevi e straordinari di Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares che firmano nel luglio 1953 la citata introduzione. Due autori che si sono divertiti a curare un’antologia di brani provenienti da una straordinaria varietà di opere, non esitando a introdurre graziose falsificazioni e spudorati lemmi bibliografici e apocrifi, arrivando – a volte – ad attribuire le opere ad autori inesistenti, quando in realtà l’autore era lo stesso Borges.




RISVOLTO
Secondo una leggenda, un dio dell’Indostan chiese a un altro dio di cedergli una delle sue 14.516 mo­gli. «Prenditi quella che trovi libera» fu la benevola risposta. Ma in tutti i 14.516 palazzi la moglie giace­va col suo signore, che «si era sdoppiato 14.516 vol­te» affinché ciascuna credesse di essere la favorita. La fonte di questo «racconto breve e straordinario», un libro apparso a Goa nel 1887, è in realtà il­lusoria. E grazie a Bioy Casares sappiamo come so­no andate le cose: «Domani compro il libro dove l’ho letta» gli aveva detto Borges riferendosi alla leggenda. E Bioy: «No, raccontiamola noi e attribuia­mola a un autore qualsiasi» – nella fattispecie, un gesuita portoghese. Così, con estro sfrenato e gio­coso, hanno lavorato i due appassionati antologisti: ritagliando brani da una sbalorditiva molteplicità di opere (dal taoista Trattato del Vuoto Perfetto a Max Ja­cob), ricorrendo ad amene falsificazioni, inventan­do spudorati lemmi bibliografici e apocrifi: come le Memorie di un bibliotecario di Francisco Acevedo, a­lias Borges, o la magnifica Storia dei due re e dei due labirinti, sempre di Borges malgrado la depistante attribuzione. Senza peritarsi di manipolare le fonti: in un’iscrizione che evoca la verginità di Iside, un semplice «(finora)» aggiunge al referto di Plutar­co una maliziosa connotazione: «nessun mortale (finora) ha sollevato il mio velo». Ma l’obiettivo è uno solo: mostrare come un’antologia di vertigino­sa varietà possa racchiudere «l’essenziale di ciò che è narrazione» – vale a dire uno dei grandi piaceri che la letteratura può offrire.




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